I rifiuti urbani e i rifiuti speciali
La definizione di rifiuto più generica può sembrare abbastanza ovvia. Il rifiuto semplificando molto è uno scarto, un imballo o un bene di cui non ci si serve più. La definizione di rifiuto è stata meglio determinata da una sentenza della Cassazione (sentenza n. 48316 del 16 novembre 2016).
La nozione del termine “rifiuto” riportata agli atti è la seguente:
“[…] deve ritenersi rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi» […].”
La Cassazione fa riferimento alla definizione (contenuta nell’art. 183, comma 1, lettera a) d.lgs. 152/06) di ciò che deve essere inteso come rifiuto proseguendo poi con la corretta individuazione del significato del termine “disfarsi”.
Secondo l’interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza, sia quella nazionale che quella comunitaria, “disfarsi” va interpretato «considerando le finalità della normativa comunitaria e, segnatamente, la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti […]».
In buona sostanza, secondo la legge, un rifiuto non è tanto qualcosa che non ha più utilità per chi lo possiede in base ad una scelta individuale, ma viene definito tale alla luce del fatto che in quanto elemento residuale deve seguire un iter di recupero conforme alla normativa ambientale.
Quali sono quindi i diversi tipi di rifiuti?
Le categorie principali sono due:
- i rifiuti urbani, che di fatto sono i rifiuti domestici, quelli prodotti in casa nel quotidiano;
- i rifiuti speciali, che sono invece generati dalle attività produttive.
La distinzione tra questi due gruppi non viene fatta in base alla tipologia specifica di un rifiuto, ma analizzando il contesto nel quale questo è stato prodotto.
Se i rifiuti solidi urbani sono regolati dalle amministrazioni locali che ne definiscono raccolta, smaltimento e gestione rifiuti speciali, nel caso dei rifiuti speciali sarà compito di chi li ha prodotti individuare l’azienda del territorio adatta a smaltirli.
Le attività che producono rifiuti speciali sono le più diverse: dalle aziende alle industrie o piccole e medie imprese, dalle attività di servizi a quelle commerciali, dagli artigiani alle attività del comparto horeca (settore dell’ospitalità e della ristorazione), dalle imprese del settore agricolo a quelle attive in ambito medico e veterinario, dalle imprese edili a quelle chimiche.
In ciascuno di questi casi è chi produce i rifiuti che è legalmente responsabile della loro corretta gestione e per questo è compito di ciascuna attività rivolgersi per la gestione rifiuti speciali in tutta la filiera ad un partner di servizi ambientali competente e affidabile.
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Il Catalogo Europeo dei Rifiuti
Per quanto riguarda i rifiuti speciali, questi sono ordinati all’interno di un catalogo, un elenco condiviso da tutti i paesi dell’Unione Europea che classifica i rifiuti in base all’attività che li ha prodotti.
Il Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER) anche noto come Elenco Europeo dei Rifiuti (EER) assegna ad ogni scarto un codice univoco che permette di identificarlo e che regola conseguentemente le modalità di smaltimento e riciclo dedicate.
Si tratta di un codice composto da tre coppie di numeri con i quali si procede ad individuare:
- Con la prima coppia numerica l’attività che l’ha prodotto;
- Con la seconda coppia il processo con il quale è stato prodotto;
- Con l’ultima coppia di numeri il tipo di rifiuto.
Il codice CER (o codice EER) deve essere attribuito a ciascun rifiuto speciale, e l’attribuzione del codice di riferimento è il primo passo nella gestione della filiera di smaltimento dei rifiuti.
Questo catalogo è appunto una lista, divisa in 20 capitoli all’interno dei quali sono riportate le tipologie di attività industriali che producono i rifiuti e per ciascun codice è presente una descrizione.
I criteri per la classificazione dei rifiuti speciali sono riportati all’interno di un documento che prende il nome di “Linee guida sulla classificazione dei rifiuti” redatto dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente.
Per individuare correttamente la natura di un rifiuto può essere necessario eseguire delle analisi chimiche per stabilire le componenti e quindi procedere con la corretta attribuzione del codice CER di pertinenza.
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I rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi
Come detto i rifiuti speciali sono gli scarti che provengono dalle attività produttive. Si è esordito parlando dell’obbligo di disfarsene secondo le normative in vigore e abbiamo ribadito che la responsabilità legale nello smaltimento dei rifiuti speciali è di chi li produce.
Ma i rifiuti speciali sono tutti uguali?
No, certamente. Abbiamo visto che ciascuno è definito e identificato con un codice (il codice CER o codice EER), a questo va aggiunto che i rifiuti speciali possono essere pericolosi o non pericolosi.
Spieghiamo meglio questa caratteristica di pericolosità. Nel caso di un rifiuto pericoloso, questo è immediatamente identificabile perché al suo codice CER è unito dopo l’ultima cifra un asterisco.
Le caratteristiche di pericolosità di un rifiuto sono a loro volta specificate dalla sigla HP seguita da un numero che chiarifica se si tratta di un rifiuto pericoloso perché esplosivo (HP 1), infiammabile (HP 3), corrosivo (HP 8) o altro ancora.
La pericolosità di un rifiuto riguarda il fatto che se disperso nell’ambiente e non adeguatamente smaltito, questo può essere dannoso per l’uomo o l’ecosistema.
In alcuni casi per la gestione rifiuti speciali pericolosi è richiesto un trasporto dedicato (il cosiddetto regime ADR) che può essere fornito unicamente da aziende autorizzate presso il Ministero della Transizione Ecologica, che ne consente l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali.
Ma un’azienda di servizi autorizzata serve solo per gestire i rifiuti pericolosi?
No, tutti i rifiuti speciali vanno gestiti in modo diverso da quelli domestici, come specificato prima. In alcuni casi sono gli stessi produttori di rifiuti a conferirli presso il centro di raccolta destinato a smaltirli ma in nessun caso i produttori possono avvalersi delle soluzioni dedicate ai rifiuti urbani come cestini o cassonetti.
I rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi hanno l’obbligo di essere classificati e di essere abbinati al loro codice CER, pratica che non è richiesta per i rifiuti domestici, per esempio.
Le operazioni di raccolta sono regolamentate in modo da consentire alle aziende lo stoccaggio presso la propria sede di un volume di rifiuti dato, da dividere in base alla tipologia e soggetto a variazioni in funzione della pericolosità o meno dei rifiuti stessi.
La gestione rifiuti speciali e il loro smaltimento
Per la gestione dei rifiuti speciali è quindi necessario affidarsi ad un partner di servizi ambientali in grado di fornire la consulenza più adatta in base alle necessità.
Ecodep si affianca da oltre 30 anni alle aziende per offrire un servizio di gestione ambientale che opera nel trattamento e nello smaltimento dei rifiuti speciali comprendendo anche raccolta e trasporto di rifiuti come imballaggi pericolosi, lo smaltimento di liquami e acque reflue o lo smaltimento di bombole di gas speciali.
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